Hammamet”, Italia 2019

Regia di Gianni Amelio
con Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Renato Carpentieri, Omero Antonutti, Claudia Gerini

Un film su Craxi, senza Craxi, ha scritto un critico. In effetti durante tutto il film il leader socialista non viene mai citato da nessuno. Solo all’apertura il Congresso del Partito mostra grandi striscioni, garofani e la famosa molto criticata piramide di Panseca che ingrandiva a dismisura il volto del leader, dandoci un’idea del contesto. I membri della sua famiglia, riconoscibilissimi, hanno altri nomi. Appaiono figure che potrebbero essere questo o quel politico, ma tutto resta relegato nell’ombra, forse per evitare problemi di carattere legale e censure? Non si capisce. D’altra parte in realtà si tratta di una narrazione irrisolta, persino ambigua. Sono gli ultimi giorni di Craxi nell’esilio dorato di Hammamet, ma quella di Amelio non è una riabilitazione, non è una condanna, non celebra un processo, non eleva agli altari e non getta nella polvere, manzonianamente, il suo protagonista. Anche la malattia viene trattata in maniera abbastanza asettica, senza scadere nella pietà e nel sentimentalismo. Non c’è presa di posizione, non si sconfina troppo nella cronaca, e addirittura la comparsa di due personaggi chiaramente immaginari, il fervente operaio socialista deluso e suicida, e di seguito suo figlio, un misto di reporter, giornalista o ficcanaso, lasciano abbastanza perplessi sul ruolo che il regista abbia voluto loro conferire.
Tutto quanto viene narrato è dato per scontato come se lo spettatore fosse stato già informato, e questo dettaglio getta un po’ nella confusione chi vorrebbe capire di più, senza intaccare le scelte registiche, il progetto di Amelio.
C’è molta politica, sempre per bocca di questo “innominato” leader. Molte citazioni celebri, concetti politicamente corretti (o scorretti…), ma clamorosamente lontani anni luce dall’attuale politica da strapazzo che ci mostra ogni giorno cialtroneria e incapacità. In questo forse sta il solo merito di questo film: riportarci, almeno in parte, a un periodo nel quale, pur sempre all’ombra della corruzione, c’era chi la Politica la sapeva e voleva fare.
La valutazione va perciò interamente a Pierfrancesco Favino, che al di là del trucco perfetto che regge i primissimi piani senza rivelarsi minimamente, ha acquisito lo stesso tono di voce, lo scivolare di certe vocali trascinate, la sospensione nel parlare, le pause strategiche, il sorriso improvviso, stirato, quasi forzato, gli scoppi d’ira, la gestualità, la postura, l’espressione negli occhi ormai disincantati e delusi di Bettino. Geniale, questa sì, la passeggiata finale fra le guglie del duomo di Milano, dove a piedi nudi, perciò già morto, incontra il padre, un radioso, bellissimo Omero Antonutti alla sua ultima comparsa sullo schermo.

Le musiche di Nicola Piovani, etniche e intrusive, inizialmente sono addirittura fastidiose e non contribuiscono a sollevare il film dalla sua condizione di prodotto freddo e scarsamente coinvolgente, al di là della simpatia/ antipatia che si possa provare per il personaggio descritto.

By manu52

 

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