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Charlie e il fiore sullo scolapiatti (racconto)

Shark non ha molto in simpatia i vicini di casa, come anche altre categorie umane. Nella città dove lavora, e quindi dove vive prevalentemente, fino a qualche anno fa abitava in un residence sul mare a pochi chilometri dal centro città. Zona residenziale, molto cool.

Nell’appartamento bivani accanto al suo, viveva una coppia giovane. Lui, Roberto, tranquillo; lei, Beatrice, gentile ma un po’ troppo socievole, e soprattutto un po’ “finta”, per i gusti del nostro. Troppe smancerie da parte di lei quando si salutavano incontrandosi, se casualmente stavano uscendo od entrando nelle rispettive casette. “Piacere, io sono la vicina, tu sei il nuovo inquilino?”; “Che lavoro fai? Di dove sei?”. “Quando hai bisogno, noi siamo qua”; “Dobbiamo invitarti a cena, prima o poi”. Dopo tanti episodi di esagerata gentilezza, Shark decise di ricambiare un po’.

Per dare un tocco di (molto) presunta trasgressione alla vicenda, innanzitutto aspettò un’occasione. Un lunedì aveva visto la coppia che si stava salutando sull’uscio, allora aveva origliato vicino alla tapparella della finestra ed aveva appreso che lui stava partendo e sarebbe rimasto fuori per tutta la settimana. E cosi la sera dopo bussò alla porta dei vicini per offrire dei bocconcini di gelato appena comprati, “per mangiarli insieme tutti e tre” disse il verme. “Purtroppo Roby non c’è, è partito”, rispose Bea. “Oh come mi dispiace, proprio oggi che avevo avuto questa idea”, continuò a mentire Shark. Comunque Bea apprezzò e disse a Shark che, appena finito di rassettare, sarebbe andata da lui per consumare (il dessert, si intende). E così fece. Stettero un’oretta abbondante a chiacchierare del più e del meno, molto piacevolmente. Ovviamente lei diede il meglio del suo repertorio di “polpette”: “Dobbiamo invitarti a cena, una di queste sere” (a ridaje); “Devi venire in barca con noi, una di queste domeniche”; “ Dai, fermati qui questo week-end che organizziamo qualche cosa”. Shark rispondeva sempre: “Grazie, molto volentieri”, pur ben sapendo che nulla di tutto questo si sarebbe realizzato. Alla fine della serata erano rimasti ancora un po’ di gelatini, e Shark li offrì ancora alla vicina, proponendole di portarseli a casa. Lei accettò di buon grado, senza bisogno che lui insistesse, anche perché era golosa, oltre che abbastanza pienotta. Solo disse:

“Prestami un piatto cosi li metto li”.

Si salutarono:

“Grazie, alla prossima”.

“Grazie a te, salutami il marito”,

“Ok, riferirò, ti riporto il piatto domani o dopodomani”.

“No problem at all, anche se me lo restituisci tra due-tre giorni, figurati che cambia”.

Passavano i giorni, le settimane, e il piatto non tornava. Né ovviamente si materializzava alcuno degli inviti/proposte che Bea aveva fatto a Shark quella sera.

Un giorno Gianni era a Palermo, per una 2 giorni di lavoro, terminati i quali si fermò da Shark per il week-end. Dopo avere appreso la storia del piatto prestato alla vicina, e prevedendo anche lui che mai più sarebbe stato restituito, suggerì a Shark di mettere un fiore nello scolapiatti, nello spazio vuoto rimasto in mezzo alla sequenza orizzontale di piatti. E così fecero. Andarono insieme da un fioraio, comprarono il fiore e lo deposero con una certa solennità nello spazio vuoto. Per cui la sequenza di oggetti nel mobiletto-scolapiatti del cucinino di Shark adesso era: piatto – piatto – piatto – fiore – piatto – piatto. E così rimase per tanto tempo.

 

Recensione “Benvenuti a casa mia”

Progressisti con il “sedere” degli altri, a parole ma non nei fatti. Prevedibile, ma istruttiva, commedia farsa francese su uno scrittore radical chic che accoglie in casa un gruppo rom che gli sfascerà giardino, piante, mobili e famiglia.

L’attore Christian Clavier indossa i panni di un docente universitario, intellettuale di sinistra ma con mega villa con piscina nel quartiere giusto alle porte di Parigi, con servitù extra-comunitaria, e pasteggia spesso ad aragosta e champagne. Quindi predica e poi razzola esattamente nel modo in cui fanno tanti intellettuali di sinistra non solo in Francia (il personaggio protagonista vuole essere una parodia di Bernard Henry Levy?), ma anche in Italia. Vedi il gruppone di illuminati di Capalbio, che recentemente non hanno voluto accettare un solo migrante nel loro buen ritiro, pur passando il loro tempo a dare del razzista a chi prova a proporre qualche misura di regolamentazione del biblico problema.

La regia del film è di Philippe de Chauveron. Durante un dibattito televisivo per promuovere il suo libro, pieno di tesi ipocrite sull’accoglienza, il protagonista viene provocato da un suo rivale di estrema destra ad accogliere in casa una famiglia Rom. Lui ovviamente a parole fa finta di accettare, ed incautamente dà il suo indirizzo in TV. Poi appena uscito dallo studio televisivo, convinto di avere trionfato nel duello verbale contro il suo rivale fascista-classista-razzista, va a festeggiare la sua performance televisiva com moglie e sodali nel solito ristorante extra lusso. La sera, tornato nella sua magione, squilla il citofono: è una famiglia di Rom che ha seguito il dibattito in televisione, lo ha preso in parola e quindi pretende di installarsi a casa sua. E cosi scatta il panico nella famiglia dei presunti progressisti, ma sempre in nome del loro adorato politicamente corretto e intravvedendo ulteriori vantaggi di immagine da monetizzare quanto prima, i padroni di casa acconsentono che i rom si piazzino con la loro roulotte in giardino. Pian piano i Rom, fracassoni che in pochi giorni riescono a distruggere quasi tutto quello che toccano, non si limitano al giardino ma superano anche la soglia di ingresso della casa, e qui continuano le scene di finta accoglienza (spaventata) dei borghesi illuminati.

“Benvenuti a casa mia” ha una dose di perfidia non comune nel genere, non si ferma davanti al politicamente corretto e attacca frontalmente i bobo (borghesi bohémien), così ossessionati dalla tutela della loro sfera intima, ma spiazzati e disarmati quando si tratta di passare all’azione. Il film è una satira sul moralismo di chi si crede senza peccato e superiore agli altri, in cui tutti trovano il modo per sentirsi migliori degli altri, in cui ogni gruppo sociale ne trova un altro più in basso nella piramide su cui scaricare le frustrazioni subite da quello appena più in alto. Vedi il maggiordomo indiano che insulta quegli zozzoni dei Rom, rifiutando di servirli in giardino a bordo piscina. Insomma, una totale confusione in cui si parla senza pensare, una vera metafora dell’epoca dei social media.