Mese: ottobre 2018

Recensione “A star is born”

“Volevo guardarti un’ultima volta”.

Jackson rivolge per ben due volte questa frase ad Ally. Ogni volta sembra essere un addio definitivo. O un nuovo incontro.

Quarto remake della stessa storia già vista in tre film, l’intramontabile favola romantica “È nata una stella”, tormentata storia d’amore fra una promessa del mondo dello spettacolo e un divo in declino. Nei primi due film la vicenda era ambientata nel mondo del cinema, nel terzo di circa quaranta anni fa con Barbra Streisand si passava al rock. Ed è a quest’ultimo film del 1976 che si ricollega oggi Bradley Cooper, esordiente alla regia, il quale per la parte di attore protagonista decide di scritturare……se stesso. E che sceglie una certezza del mondo pop per questo suo debutto alla regia: a calcare la scena con lui è infatti niente meno che Stefani Joanne Angelina Germanotta, al secolo Lady Gaga, a sua volta all’esordio come attrice. Una piacevole sorpresa, una prova ottima anche nelle sue metamorfosi fisiche. Il finale è tutto per lei.

La storia è arci-nota: declino per l’uno e ascesa per l’altra, su fino all’Eldorado dei premi Grammy (o roba equivalente). Lui, Jackson, un passato difficile, cantante country autodistruttivo con alcool e droga, problemi all’udito, sul viale del tramonto, scopre in lei, Ally, cameriera fino a quel momento, che sporadicamente si esibisce per diletto in un localaccio nel dopo lavoro, un talento esagerato nella voce. Ed è il destino che le fa cambiare vita. I due si frequentano, poi si innamorano, lei abbandona il lavoro, diventa grazie a lui cantante a tutti gli effetti e comincia a salire, lui a scendere in un prolungato e alcolizzato percorso, con la caduta sinonimo di morte, che alla fine mostra allo spettatore la solita morale: il successo è effimero, è polvere di stelle che può scomparire improvvisamente, come improvvisamente è arrivato. Un tema scontato, un regista esordiente, un’attrice improvvisata che fino a oggi ha fatto solo la cantante… non si può dire che il film nascesse sotto i migliori auspici. Invece questa versione di “A Star is born” è riuscita a spiazzare pubblico e critica, quasi in imbarazzo ad ammettere che la performance di Lady Gaga è stata convincente (minimo), così come la prima regia di Bradley Cooper.

Sembra un film anni ’80, sia detto in accezione elogiativa e non dispregiativa; un classico melò ma anche grande film-concerto, con la musica a fare da padrona in alcuni momenti. Come in occasione del loro primo concerto insieme sul palco, quando cantono “Shallow”, subito dopo la prima notte trascorsa insieme.

Non importa che doveva essere Clint Eastwood inizialmente a dirigerlo, il quale avrebbe prodotto il suo solito capolavoro, come (quasi) sempre. “A star i born” è un film bello. Anzitutto è ben scritto, anche e forse soprattutto grazie all’aiuto di Eric Roth, già  sceneggiatore diForrest Gump”. Poi è un atto d’amore di Bradley Cooper verso Lady Gaga. Poi descrive in maniera poetica il rapporto conflittuale ma pieno di affetto tra Jackson ed il fratello (l’attore Sam Elliott). Ma è anche un film spietato. La scena della premiazione ai Grammy, con annessa pipì addosso, ha una crudeltà esagerata, proprio da parte di Cooper verso il suo stesso personaggio. Crudeltà che si vede anche nel dialogo in cui Jackson dice ad Ally che è diventata brutta.

Il film, pur con alcuni momenti ingenui e semplicistici, magari da aggiustare, funziona. E anzi è forse proprio in virtù di certe scelte sempliciotte (la ripetuta contrapposizione vita / morte, ascesa / caduta, purezza / perdizione) che riesce a regalare piccoli momenti di commozione.

Per tutto quello che eventualmente manca a questo film, appuntamento al quinto remake, tra qualche decina d’anni.

 

Recensione “The wife”

Proprio in coincidenza con l’anno in cui il Nobel per la letteratura non viene assegnato per le note vicende legate a presunte molestie e relativa (per niente ipocrita?) campagna del “Me Too”, ecco questo film che narra la storia dello scrittore Joe Castleman (l’attore Jonathan Pryce), americano di origine ebraica (ogni riferimento a Philip Roth è, forse, volutamente non casuale), che dopo avere ricevuto nella sua casa nel Connecticut la telefonata che gli annuncia di essere il vincitore del Nobel per la letteratura del 1992, è in procinto, insieme con la moglie Joan (una straordinaria Glenn Close) e il figlio (l’attore Max Irons, figlio d’arte) di partire per Stoccolma per la cerimonia di consegna del premio. Questo viaggio tuttavia finisce per rappresentare l’occasione giusta per fare riaffiorare tutti i nodi irrisolti del passato della coppia, che in terra svedese emergono ed esplodono violentemente fino all’apoteosi del dramma nella serata della cerimonia e nella notte che segue.

Dopo la scena iniziale della telefonata con l’annuncio del premio, andando avanti nel film e con l’aiuto dei soliti flash-back, si scopre che la moglie, da decenni devota al marito, ha sacrificato per lui ambizioni e talento. Ed infatti il titolo del film in italiano, con cui quello originale è stato tradotto, è “Vivere nell’ombra”.

Con i protagonisti, in viaggio sullo stesso aereo e poi sempre stranamente in zona a Stoccolma, c’e’ un invadente e non richiesto giornalista, auto-proclamatosi candidato biografo dello scrittore, che fiuta il maxi scoop / gossip di famiglia, la chiave della storia, perché ci sono strane somiglianze tra gli scritti del vanaglorioso scrittore e i primi tentativi letterari della moglie, anni prima quando era studentessa innamorata di Joe, all’epoca suo professore che per amore di lei abbandonò prima moglie e figlia. La stessa moglie, fino ad ora remissiva come abbiamo detto, è adesso pronta a porte chiuse nella stanza d’albergo al clima da redde rationem. E cosi i ricordi di questi fatti e delle infedeltà del marito, in aggiunta ai pettogolezzi del molesto giornalista che insiste nel volere scrivere la biografia dello scrittore, fanno esplodere la moglie Joan proprio alla cena ufficiale dopo la consegna del Nobel.

Basato su un romanzo di Meg Wolitzer, “The Wife” è un film in co-produzione USA, UK e Svezia, diretto da Bjorn Runge, regista svedese il cui curriculum era fino a oggi costituito da opere circoscritte alla cinematografia svedese. Il film scava dentro le dinamiche della creazione artistica letteraria e contemporaneamente denuncia la condizione del talento femminile a volte costretto ad una domestica sottomissione. Film un po’ scontato, prevedibile, ma già la sola interpretazione di Glenn Close, che con questo ruolo si candida all’Oscar, lo rende meritevole di essere visto. Il tema trattato rientra in parte nella categoria del “già visto” al cinema. Noi, con le dovute approssimazioni e molto soggettivamente, troviamo assonanze, per esempio, con “Un amore sopra le righe” del regista Nicolas Bedos, ma quello fu una vera chicca dello scorso inverno.

In questo “The Wife”, invece, lo spettatore è in grado troppo presto di rispondere alla domanda: la coppia parte per Stoccolma col rampollo frustrato che ha anche lui ambizioni letterarie e vuole copiare il papà: ma papà invece chi ha copiato?