“Volevo guardarti un’ultima volta”.

Jackson rivolge per ben due volte questa frase ad Ally. Ogni volta sembra essere un addio definitivo. O un nuovo incontro.

Quarto remake della stessa storia già vista in tre film, l’intramontabile favola romantica “È nata una stella”, tormentata storia d’amore fra una promessa del mondo dello spettacolo e un divo in declino. Nei primi due film la vicenda era ambientata nel mondo del cinema, nel terzo di circa quaranta anni fa con Barbra Streisand si passava al rock. Ed è a quest’ultimo film del 1976 che si ricollega oggi Bradley Cooper, esordiente alla regia, il quale per la parte di attore protagonista decide di scritturare……se stesso. E che sceglie una certezza del mondo pop per questo suo debutto alla regia: a calcare la scena con lui è infatti niente meno che Stefani Joanne Angelina Germanotta, al secolo Lady Gaga, a sua volta all’esordio come attrice. Una piacevole sorpresa, una prova ottima anche nelle sue metamorfosi fisiche. Il finale è tutto per lei.

La storia è arci-nota: declino per l’uno e ascesa per l’altra, su fino all’Eldorado dei premi Grammy (o roba equivalente). Lui, Jackson, un passato difficile, cantante country autodistruttivo con alcool e droga, problemi all’udito, sul viale del tramonto, scopre in lei, Ally, cameriera fino a quel momento, che sporadicamente si esibisce per diletto in un localaccio nel dopo lavoro, un talento esagerato nella voce. Ed è il destino che le fa cambiare vita. I due si frequentano, poi si innamorano, lei abbandona il lavoro, diventa grazie a lui cantante a tutti gli effetti e comincia a salire, lui a scendere in un prolungato e alcolizzato percorso, con la caduta sinonimo di morte, che alla fine mostra allo spettatore la solita morale: il successo è effimero, è polvere di stelle che può scomparire improvvisamente, come improvvisamente è arrivato. Un tema scontato, un regista esordiente, un’attrice improvvisata che fino a oggi ha fatto solo la cantante… non si può dire che il film nascesse sotto i migliori auspici. Invece questa versione di “A Star is born” è riuscita a spiazzare pubblico e critica, quasi in imbarazzo ad ammettere che la performance di Lady Gaga è stata convincente (minimo), così come la prima regia di Bradley Cooper.

Sembra un film anni ’80, sia detto in accezione elogiativa e non dispregiativa; un classico melò ma anche grande film-concerto, con la musica a fare da padrona in alcuni momenti. Come in occasione del loro primo concerto insieme sul palco, quando cantono “Shallow”, subito dopo la prima notte trascorsa insieme.

Non importa che doveva essere Clint Eastwood inizialmente a dirigerlo, il quale avrebbe prodotto il suo solito capolavoro, come (quasi) sempre. “A star i born” è un film bello. Anzitutto è ben scritto, anche e forse soprattutto grazie all’aiuto di Eric Roth, già  sceneggiatore diForrest Gump”. Poi è un atto d’amore di Bradley Cooper verso Lady Gaga. Poi descrive in maniera poetica il rapporto conflittuale ma pieno di affetto tra Jackson ed il fratello (l’attore Sam Elliott). Ma è anche un film spietato. La scena della premiazione ai Grammy, con annessa pipì addosso, ha una crudeltà esagerata, proprio da parte di Cooper verso il suo stesso personaggio. Crudeltà che si vede anche nel dialogo in cui Jackson dice ad Ally che è diventata brutta.

Il film, pur con alcuni momenti ingenui e semplicistici, magari da aggiustare, funziona. E anzi è forse proprio in virtù di certe scelte sempliciotte (la ripetuta contrapposizione vita / morte, ascesa / caduta, purezza / perdizione) che riesce a regalare piccoli momenti di commozione.

Per tutto quello che eventualmente manca a questo film, appuntamento al quinto remake, tra qualche decina d’anni.

 

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