Mese: agosto 2018

Recensione “Gotti” (dal Taormina Film Fest 2018)

Il regista Kevin Connolly mette in scena il film “Gotti”, un biopic del “padrino” John Gotti, con protagonista John Travolta nei panni del boss di Cosa Nostra a New York. Il film è arrivato nelle sale americane dopo un lungo travaglio durato sette anni. Ben quattro registi si sono avvicendati alla guida del film durante il suo difficoltoso cammino. Nomi come Al Pacino e Joe Pesci hanno mollato, strada facendo. Quest’ultimo addirittura ha intentato una causa da tre milioni di dollari nei confronti della produzione. Insomma, qualcuno avrebbe potuto anche cogliere questi come segni premonitori e chiudere il progetto, invece si è voluto a tutti i costi fare uscire questo film. E adesso che il film è uscito i problemi continuano, infatti regista e cast stanno affrontando dure critiche dalla stampa. Qualcuno è arrivato a scrivere che si tratta del peggiore film mai fatto sul tema mafia. Il sito specializzato Rotten Tomatoes gli ha assegnato un fantastico 0%….In ogni caso giudizio unanime: il film è un disastro. E dopo averlo visto non ci sentiamo di dissentire troppo. Un gangster movie trascurabile. Però al pubblico, in America, il film piace……

La storia ci racconta la carriera criminale di Gotti dagli anni settanta fino alla sua morte, avvenuta nel 2002 in carcere, dove stava scontando l’ergastolo. John Travolta interpreta un personaggio controverso: da una parte un buon (??) padre di famiglia, colpito da un lutto dolorosissimo quale è la morte di un figlio. Dall’altra uno spietato malavitoso, capace di uccidere a sangue freddo. Questo bello esempio di vita Gotti lo stava dando ad un altro suo figlio, John Gotti jr., che nel film è interpretato dall’attore Spencer Lofranco. Nonostante un inizio di carriera sulle orme del padre, il piccolo John si è poi dissociato dal crimine organizzato, dopo aver scontato 11 anni di prigione, ed ora è un uomo libero. Ad interpretare Victoria, la moglie di Gotti senior, è la stessa moglie di Travolta, Kelly Preston. A ricreare le atmosfere dell’epoca anche la colonna sonora curata da Pitbull. Buona comunque la interpretazione di John Travolta. Meno buona quella degli altri attori.

Il film narra una storia di mafia americana esattamente come ce la aspettiamo, secondo cliché ormai iper-collaudati e visti. Ed inoltre troppi sviluppi, tradimenti, (presunti) colpi di scena, troppi avvenimenti condensati nelle canoniche due ore del film.

Uno dei motivi per cui la critica americana ha di fatto stroncato il film potrebbe essere il fatto che che, giustamente, si è sentita anche disturbata dall’omaggio di cattivo gusto costituito dalla lunga sequenza finale, con immagini d’epoca, del funerale di Gotti a Brooklyn: il lungo corteo, le corone di fiori, gli omaggi al boss, le interviste alla gente che parla di Gotti come di un santo protettore del quartiere e della città. Si poteva evitare.

 

Recensione “Dark crimes” (da Taormina Film Festival 2018)

“Dark Crimes” è un film del 2016, presentato fuori concorso a Taormina, diretto dal regista greco Alexandros Avranas. La storia prende spunto da fatti realmente accaduti per poi, come quasi sempre accade, liberamente romanzarli, esagerarli, per produrre una opera cinematografica che dovrebbe attirare lo spettatore ancor di più della storia vera di cronaca. Dovrebbe…..

Nel 2008 un articolo di giornale portò all’attenzione un caso di cronaca molto singolare e affascinante, dal punto di vista del noir, anche se in qualche modo appartenente alla categoria del “già visto o sentito” qualche volta, in ambito giallo, almeno per gli appassionati del genere. Nel 2000 venne scoperto un cadavere torturato e incaprettato nel fiume Oder, in Polonia. Gli inquirenti non ci capiranno un accidente almeno fino al 2003, anno in cui un commissario di polizia si convinse che dietro l’omicidio ci fosse uno scrittore, e che il suo primo libro, dal titolo “Amok”, fosse in pratica una confessione, quasi come una sfida alla polizia a decifrare indizi disseminati nel libro. L’autore del libro è attualmente in carcere con una pena di venticinque anni. La storia ha avuto una forte eco, almeno in Polona, e nel 2016 è ventuo fuori questo film, scritto da Jeremy Brock.

Basato proprio su tale articolo, il film del regista greco ha una base narrativa così interessante che avrebbe potuto diventare un filmone. Dopotutto il fatto di cronaca è abbastanza incredibile. Inoltre la presenza nel cast di attori come Jim Carrey e Charlotte Gainsbourg, sembrava tale da garantire, insieme con la suspence della vicenda, una opera notevole. Invece “Dark Crimes” è abbastanza noioso, con un ritmo lento, e non riesce a fare emergere i personaggi principali nè gli attori che li interpretano.

Jim Carrey è Tadek, un detective polacco quasi in disgrazia, “l’ultimo poliziotto onesto della Polonia” e vuole coronare la propria carriera con un ultimo successo. Dopo che avviene il brutale omicidio di un abituale frequentatore di un club per adulti, il “The Cage”, il poliziotto nota che in quel locale si recava spesso anche uno scrittore che in un suo romanzo aveva raccontato un delitto praticamente identico. Partendo proprio dal libro, il detective indaga lo scrittore e la sua compagna Kasia, la quale lavorava proprio al “The Cage”. Tadek trova collegamenti sempre piu’ robusti tra il vecchio caso di omicidio ancora irrisolto e il romanzo dello scrittore, pieno di dettagli e particolari troppo accurati sul delitto. Convinto quindi di aver scovato il colpevole, si trova invece invischiato tra superiori che intralciano il suo lavoro, poliziotti corrotti, prostitute e drogate, in un groviglio di indagine.

Questa è la trama. Ma la sceneggiatura e la realizzazione, come detto, non sono state all’altezza. La suspence che si percepisce in sala non è niente in confronto a quella che poteva generarsi da un racconto più brillante di una cronaca reale così piena di spunti.

Poi c’è il grigiore dell’ambientazione polacca nella fotografia del film che, pur in parte realistico e necessario per descrivere quei luoghi, restituisce una Polonia così grigia che sembra lo stereotipo di se stessa, oltre a contribuire ad aumentare il carico di cupezza, noia e tristezza già esistenti.

Sia il talento di Jim Carrey che quello di Charlotte Gainsbourg, qui abbastanza sprecato, si era visto molto più brillante in altre occasioni. Rimane la sensazione di un’occasione persa, sia per la straordinarietà della vicenda originale, sia perché inizialmente sembrava che il regista sarebbe stato Roman Polanski, e il risultato molto probabilmente sarebbe stato migliore.

 

Recensione “Transfert” (da Taormina Film Fest 2018)

Buona questa opera prima del regista e scrittore catanese Massimiliano Russo, con un thriller psicologico ben congegnato, in concorso in questo rinato (diciamo pure resuscitato, con merito di chi è riuscito in tale impresa) festival del cinema di Taormina. Molto buona l’accoglienza in sala alla fine della proiezione, presenti regista e alcuni attori.

Stefano Belfiore (l’attore Alberto Mica), psicoterapeuta, riceve i pazienti nel suo studio a Catania. Un’umanità varia (a dir poco) si alterna sul divano di questo giovane professionista che, inizialmente entusiasta del suo lavoro, cerca di dare serenità ai pazienti e soprattutto cerca di instaurare con loro un rapporto di fiducia . Ma succedono almeno due imprevisti: il dottore accetta di prendere in cure due sorelle, andando contro i consigli del suo personale psicoterapeuta e mentore che suggeriva di non farlo. E poi c’è un paziente, con il suo stesso nome di battesimo, il quale durante le sedute in studio crea una situazione strana, quasi un gioco perverso di sfida al dottore, tirando in ballo a sorpresa le due sorelle di cui abbiamo detto, le quali, inoltre, durante le loro sedute, singole e di coppia, trasmettono l’una le fragilità psichiche dell’altra (“Transfert”, appunto). L’equilibrio delle sedute si destabilizza, sia quelle tra Stefano e il suo omonimo, che quelle tra Stefano e le sorelle; per non parlare del rapporto, personale e professionale, che precipita tra Stefano ed il suo terapista/supervisore. Fino al sorprendente finale in cui il regista scioglie i nodi del thriller.

Questo avvincente noir psicologico affronta le pratiche dell’inconscio, quindi l’animo umano viene sviscerato alla grande, per poi anche risalire a fatti accaduti durante l’infanzia, con esperienze emozionali non correttamente eleborate; ma il regista è bravo a non entrare nei dettagli tecnici delle metodologie di lavoro della psicanalisi, si limita a raccontare una storia che coinvolge persone che ruotano attorno a questo studio di psicanalisi.

Ottima l’attrice Paola Roccuzzo nella parte di Letizia, una delle due sorelle. Minima la scenografia, originale la fotografia dai colori sbiaditi, in coerenza con la storia, e in contrasto quindi con la solita bellissima cinematografica Catania di sole, mare, Etna.