Commedia nerissima del maestro Michael Haneke. Siamo in Francia, a Calais, cittadina simbolo di questo inizio millennio, con uno dei centri di accoglienza per migranti più grandi d’Europa. Famiglia alto borghese alle prese con problemoni personali, interni ed esterni alla famiglia, che però devono restare nascosti agli occhi del mondo, in omaggio alla ipocrisia di certi ambienti borghesi. Eccellenti le prove di Isabelle Huppert e Jean Louis Trintignant, figlia e padre nel film. I soliti temi del cinema di Haneke ci sono tutti: i rapporti familiari malati, il razzismo, il potere corrotto, la sopraffazione sulle minoranze. Il vecchio patriarca della famiglia, ricco e potente uomo affari, lascia l’azienda edile di famiglia nelle mani della ambiziosa figlia, la quale si fa coadiuvare dal fratello medico, che ha una relazione clandestina con una musicista pur fingendo di essere soddisfatto del suo secondo matrimonio. Poi ci sono i vari nipoti, tutti problematici come i loro genitori. E quindi vediamo dipanarsi la saga di questa simpatica famigliuola, fino al finale che ovviamente renderà ironico l’happy end del titolo.

Abbiamo detto dei soliti temi del regista. Stavolta c’è anche la novità dell’ingresso dei dispositivi della tecnologia, sempre più invasivi nelle nostre vite. E così il film inizia con immagini riprese da un misterioso smartphone, poi lo spettatore si sorbisce tutto lo scambio in chat tra il filgio medico e l’amante; il tutto porta alla riflessione che questi device di visione e controllo costituiscono ormai l’unico punto di vista “fuori campo” delle nostre storie.

In conclusione un gran bel film di un regista che sa fare cinema, anche se il suo pessimismo sulle relazioni tra umani e la sua visione quasi post-apocalittica della società occidentale contemporanea può risultare sgradevole a qualche spettatore.

 

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