Il vero protagonista di questo film è il giornale, il quotidiano, la stampa indipendente. Prima del Watergate, in ordine cronologico, altro brutto capitolo americano della politica della bugia, coi Pentangon Papers con cui quattro presidenti USA mentirono sul Vietnam. Ma al Washington Post c’era un’editrice troppo in gamba (Katharine Graham, interpretata da Meryl Streep che oramai non si può più definire soltanto immensa, è semplicemente fuori categoria) e un direttore altrettanto tosto (Ben Bradley, ottimo Tom Hanks nella parte) e così il regista Steven Spielberg può realizzare un altro ottimo film di matrice civile.

“The Post” racconta una storia nella storia: quella della stampa americana  che vuole essere libera di fare le proprie inchieste senza preoccuparsi degli interessi del potere, e quella di una donna che cerca la propria affermazione in un mondo di soli maschi. Con questo film Spielberg ricostruisce i giorni del 1971 in cui Katharine Graham si trovò a scegliere cosa fare per l’industria di famiglia, cioè la casa editrice che pubblicava il Washington Post, che lei si era trovata a dirigere dopo la morte del marito. Il nodo del contendere era il diritto o meno di pubblicare i cosiddetti Pentagon Papers, cioè il rapporto top secret di migliaia di pagine  che l’ex Segretario della Difesa Robert McNamara aveva fatto redigere per ricostruire la politica americana circa l’intervento militare in Vietnam, sulla quale i presidenti americani dell’epoca avevano occultato la verità, per nascondere la tragedia in cui si mandavano a morire migliaia di giovani. Questo materiale cartaceo viene fatto prima arrivare, parzialmente, al giornale rivale New York Times, innescando la gelosia professionale del direttore del Washington Post, Ben Bradlee, deciso a scovare l’intero rapporto per pubblicarlo. A questo punto il direttore è affiancato dalla apparentemente inesperta editrice; la chiave del film che rende ancora piu’ appassionante il racconto dell’inchiesta è il travaglio della signora che deve decidere che cosa fare e che cosa pubblicare. Grandi dubbi da parte sua, non solo perché la politica fa di tutto per ostacolare il lavoro dei giornalisti, ma perché la signora Graham si trova in una sorta di conflitto, interiore piu’ che di interessi, avendo da sempre frequentato i salotti della Washington bene, compresi presidenti, politici e lobby varie. Allora vediamo incontri riservati nella casa della Graham o negli uffici del giornale, nei quali la protagonist é dapprima titubante, poi sempre più decisa e coinvolta. Come detto, Meryl Streep è grandissima nel rappresentare i dubbi del suo personaggio, fino alla apoteosi finale, quando tutti le riconosceranno quella importanza e potere decisionale che per una donna, all’epoca, non era cosa così scontata. Grande anche Tom Hanks, che interpreta il ruolo di un giornalista-top che di fatto prepara il giornale a quello che sarà il successivo scoop del Washington Post, l’affare Watergate.

Dicevamo, protagonista il giornale. Bellissime le scene in cui si vede l’intera catena di fabbricazione di un quotidiano all’alba degli anni ’70: le macchine per scrivere, i telefoni a gettone, le linotype con il piombo fuso per stampare i caratteri. Non c’erano telefoni cellulari, niente WhatsApp, niente siti on-line e rassegne stampa su Internet. Si vede quindi il direttore che aspetta l’alba davanti a un’edicola per potere leggere uno scoop sul giornale rivale. E quando la Corte Suprema emette la sentenza che permette al giornale di pubblicare i Pentagon Papers, niente diretta SKY, l’unico modo di sapere che cosa sta succedendo è un cronista sul posto che telefona in redazione, e ripete la celebre frase della sentenza: «La stampa è al servizio di chi è governato, non di chi governa». Potremmo dire che Spielberg insiste tanto su tutti questi particolari proprio per fare della stampa di un quotidiano il vero protagonista del film, come detto all’inizio. Bella la scena in cui migliaia di copie del Washington Post fresche di stampa, e di scoop, si innalzano verso il soffitto sui nastri trasportatori, destinate ai camion pronti a partire verso le edicole.

Una emozione grande del film è quando alla fine di un braccio di ferro carico di pathos, il direttore Bradlee ottiene il via libera dalla proprietaria / editrice e telefona in tipografia per far partire la rotativa; a quell punto tutte le scrivanie, le sedie e i barattoli di penne degli uffici redazionali tremano, perché così era allora, si stampava nei sotterranei facendo letteralmente vibrare le redazioni, con macchinari che occupavano interi stanzoni e facevano un rumore infernale. Oggi nelle redazioni è tutto digitale, più efficiente ma meno romantico, si è passati dal piombo fuso ai bit, dalle veline ai tweet.

 

 

1 commento su “Recensione “The Post””

  1. Bastano questi tre mostri sacri del cinema Streep, Hanks e Spielberg per rendere il film appassionante. Potere politico e quarto potere. Come sempre ottima la recensione dell’autore.

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