Dopo “Io sono l’amore” (molto bello) e “A Bigger Splash” (meno bello), Luca Guadagnino completa la sua trilogia sui ricchi in amore con questo film che è stato candidato all’Oscar come miglior film, categoria assoluta, ed ha vinto quello per la migliore sceneggiatura non originale. Il regista narra l’innamoramento di un 17enne per un allievo del padre, docente universitario. Estate italiana di meta’ anni ’80, l’ovatta della borghesia colta ebraica rischia di spaccarsi ma alla fine tiene: da vedere.

È una storia d’amore, ma è anche il racconto di una vacanza estiva, la scoperta di un diverso se stesso, l’utopia di un mondo più accogliente, la descrizione di una atmosfera. Attori più che buoni anche se per niente star affermate.

Ambientato nell’estate del 1983, nella campagna nei pressi di Crema,  il film racconta l’arrivo di un estraneo, il ricercatore universitario americano Oliver (Armie Hammer), all’interno di una comunità rilassata e vacanziera; tale presenza estranea offre a ognuno dei protagonisti l’occasione per scoprire o rivelare qualcosa di sé. È un’abitudine dei padroni di casa, il professor Perlman (Michael Stuhlbarg), professore universitario e archeologo, e sua moglie Annella (Amira Casar), invitare ogni estate un dottorando per poter lavorare tranquillamente, docente e allievo, in quella cornice di vacanza di campagna. Anche il figlio Elio (Timothée Chalamet), ragazzo di grande preparazione musicale e letteraria, si mette a disposizione dell’ospite insieme con amici e amiche che bazzicano la tenuta di campagna della famiglia.

La storia, sceneggiata da James Ivory a partire dal romanzo omonimo di André Aciman, continua con l’attrazione delle ragazze per il nuovo affascinante arrivato, l’irritazione di Elio per i suoi comportamenti fin troppo disinvolti, lo stallo dei genitori padroni di casa per una presenza esterna che intuiscono destinata ad accendere passioni. Poi il film segue i turbamenti di Elio alle prese con l’esplosione della sua sessualità, all’inizio per l’amica Marzia e poi per Oliver. E da qui la storia deflagra fino alla fine.

A parte una scena con una pesca matura che fa un po’ schifo, possiamo dire che Luca Guadagnino riesce a non scadere nella scabrosita’, anzi realizza un’opera abbastanza sobria. Proprio questa è parte della forza del film, nella voglia di mostrare dolcezza e non scandalo. Per questo il film va oltre la classica «storia d’amore», perché mescola le voglie del sesso con il piacere dell’estate, la scoperta del proprio desiderio con la sua accettazione. Gli zii che a tavola si accalorano per il governo Craxi e il pentapartito, le domestiche che parlano di Resistenza, la lettura del quotidiano “Le Monde” (in una famiglia italiana !) sono tutti momenti che vorrebbero introdurre una parallela visione sociale di quegli anni ma il film lascia che il mondo esterno non turbi un’estate che i suoi protagonisti non dimenticheranno mai.

Comunque, pur in presenza di una opera piu’ che buona e di un regista italiano in forte ascesa dopo anni di gavetta, è corretto affermare che se i film concorrenti all’Oscar erano quelli che erano, è giusto che “Chiamami col tuo nome” non l’abbia vinto.

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