Cinema con la C maiuscola. Siamo solo a marzo ma “Il filo nascosto” è già uno dei film che resterà tra i più belli del 2018.

Dal grande regista Paul Thomas Anderson (PTA da qui in poi), quello di “Boogie Nights”e “Vizio di forma”, un film raffinatissimo sul potere di seduzione, la storia di un sarto inglese che negli anni ’50 veste anche la famiglia reale. L’incontro con una umile cameriera, che riproporrà il solito copione della intensa e devastante storia d’amore tra l’artista e la sua musa, gli farà scoprire il complesso e contraddittorio mistero dei sentimenti. Se davvero questo è l’ultimo film di Daniel Day Lewis (DDL da qui in poi), il cinema perderebbe tanto. Infatti l’anno scorso  Danielino ha annunciato che questo film sarebbe stato l’ultimo della sua carriera come attore. Motivo di tale bizzarro annuncio: l’estenuante cura con cui si dedica alla preparazione di ogni personaggio che interpreta è ormai andata troppo oltre. Infatti al Nostro non basta più essere solo apprezzatissimo dal pubblico: autocritico e intransigente con se stesso, vuole raggiungere livelli di perfezione tali da sfociare nell’ossessione. En passant ricordiamo che l’attore detiene il record di Oscar vinti come migliore attore protagonista: tre, e quest’anno era candidato al quarto che pero’ come sappiamo non è arrivato.

La storia narrata nel film si basa su Reynold Woodcock (DDL), un raffinato sarto/stilista che vive nella Londra degli anni ’50. Il lavoro è l’aspetto totalizzante della sua vita: realizza abiti per sovrane, star del cinema ed ereditiere che si affidano a lui (alla sua arte, al suo mestiere) per tutte le loro occasioni mondane più importanti. Woodcock abita con la sorella Cyril che amministra per lui casa e affari. Le donne per Woodcock, troppo concentrato su se stesso e sulle sue creazioni artistiche, sono solo storie da aprire e poi chiudere al piu’ presto. Reynold Woodcock non ama distrazioni o imprevisti. La sua giornata è programmata interamente con rigore ferreo grazie all’impeccabile organizzazione dettata dalla sorella. Woodcock è un esteta, un elegante uomo di cultura, un dispotico affascinate eccentrico. E DDL ci regala un personaggio davvero immenso. Woodcock ha un rapporto ambiguo con tutte le donne che frequentano il suo atelier. Si circonda di muse, ma le rifugge sentimentalmente stancandosi presto di loro; invece ha un legame di dipendenza dalla sorella. Tutto questo fino al giorno in cui incontra Alma (Vicky Krieps), che da musa diventa sua amante, stravolgendogli completamente la vita. La scena in cui Alma scende a fare colazione a casa di Woodcock e imburra rumorosamente il toast mentre lui sta realizzando i primi schizzi della giornata, finendo per distrarlo, è davvero esplicativa della prima parte del loro rapporto (artista predominante sulla musa) e mostra tutta la rigida creatività dello stilista. Reynold conosce Alma in un ristorante in cui fa la cameriera, prima la seduce con la sua classe, quindi la conduce nel suo studio/atelier casa e bottega, dove lei finisce prigioniera delle sue continue umiliazioni. Ma Alma, a differenza delle altre donne che lo circondano o che ci hanno provato in passato, non ci sta e reagisce. E così trova il modo di trasformarsi da vittima in carnefice, scoprendo il punto d’incontro tra le loro rispettive ossessioni. Un giuoco brutale che prevede il perenne passaggio dal dolore ad una riscoperta dell’amore.

Un film elegante. Non solo perché mette in scena il mondo dell’alta moda londinese anni ’50, che già è tanta roba, ma perché il sarto Woodcock rappresenta l’essenza del classico senza tempo. DDL regge da solo il peso di un film incentrato completamente sul suo personaggio. PTA e DDL ci regalano un’altra opera importante  ma soprattutto un personaggio immenso.

Solo un Gary Oldman spaziale nella interpretazione di Churchill in “L’ora piu buia” ha potuto negare a DDL il quarto Oscar della sua carriera come migliore attore.

 

2 commenti su “Recensione “Il filo nascosto””

  1. Confesso subito di avere una passione per i film inglesi. Anche quando non trattano di politica o nobiltà, e raschiano a fondo nella società inglese senza troppi complimenti e senza farsi troppi scrupoli.
    Segreti e bugie, Grazie signora Thatcher, The iron lady, The Crown, Downton Abbey,
    I misteri del giardino di Compton House, Quel che resta del giorno, Il giorno dello sciacallo, Nudi alla meta, Becket e il suo re, Un uomo per tutte le stagioni, Brian di Nazareth, Il servo, Momenti di gloria, La signora omicidi, Pranzo reale, A Venezia un dicembre rosso shocking, L’ora più buia, Lawrence d’Arabia, Gosford Park che anche se diretto da Robert Altman si reggeva su una superba sceneggiatura britannica firmata da Julian Fellowes. Sono tutti titoli che ho amato, e che se posso rivedo volentieri. Così, appena saputo di questo nuovo film su di un sarto/ stilista inglese, che forse a tratti dovrebbe ricordarci un po’ Balenciaga un po’ il sarto personale della regina Elisabetta che le confezionó l’abito nuziale, mi sono entusiasmata.
    E ce n’era ben d’onde! Il rapporto un po’ malato fra il protagonista, un incredibile David Day Lewis e il suo lavoro, per meglio dire la sua missione, perché lui così la intende, soffre di un evidente nostalgia morbosa e mal vissuta per la mancanza della madre, nonostante sia un uomo adulto, affermato e di grande professionalità.
    La sorella gestisce ormai con abilità le intemperanze del fratello, ne sopporta gli umori e le bizze, ma non interferisce con le sue rabbie improvvise e spesso ingiustificate, perché sa che non avrebbe nessun risultato.
    Le modelle della maison che tentano di fare breccia nel suo cuore duro, vengono spesso umiliate e sostituite. Finché appare Alma, l’Angelo vendicatore che saprà come raddrizzare l’albero storto con un sapiente gioco a togliere e mettere, prendere e dare. Nonostante sia una cameriera di origini campagnole di bella presenza e all’inizio notata e assunta solo per il suo fisico perfetto, è la sola che riesce nell’intento di liberare il protagonista da questa gabbia nella quale vuole apparentemente rimanere, in eterna contemplazione di una madre morta da tempo.
    L’alchimia fra i due non è immediata, ma dá i suoi frutti, anche grazie alla tenacia della ragazza. Alma è la perfetta personificazione di come Lacan definì una isterica, “una schiava che cerca un padrone sul quale regnare”.
    E il “padrone”, peraltro anche lui schiavo, passa da una padrona defunta, la madre, a una vivente, alla quale si assoggetta volentieri. Un magico gioco di specchi, di psicosi incrociate, che per una volta non si sommano, ma si elidono dando luogo a una coppia armoniosa. Naturalmente la fotografia è superba, con primissimi piani di dettagli sartoriali, mani rovinate dagli aghi, tessuti splendidi, ambienti di una eleganza mai opulenta, ma contenuta, contraddistinti da quell’understatement che così bene definisce i signori inglesi, quando sono veramente signori.
    Un gran bel film.

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