La storia vera, raccontata in flash back, di Molly Bloom, solo omonima del personaggio dell’Ulisse di Joyce, per la prima regia dello sceneggiatore Aaron Sorkin. Di conseguenza, c’era da aspettarsi: bellissima la scrittura, di ferro, e poi formidabile Jessica Chastain nella parte di Molly.

Il film si basa sulle memorie pubblicate nel libro della stessa, vera Molly Bloom.

“Molly’s Game” racconta la storia di una ex campionessa di sci che, messa KO da un gravissimo infortunio subito in una gara pre-olimpica, decide di non deprimersi pensando alla carriera agonistica buttata via ma, molto disinvoltamente e fiera delle sue adenoidi, si ricicla come organizzatrice di bische milionarie per amanti del poker fino a diventare la regina del poker clandestino americano per vip e mafiosi russi, dimostrando grandi capacità manageriali e gran pelo sullo stomaco nel gestire uomini di tutti i tipi e cifre a tanti zeri.

Originaria del Colorado, dopo l’incidente sugli sci si trasferisce a Los Angeles dove, dopo una breve fase di umili lavoretti per mantenersi, spicca il grande salto di business ed inizia la sua attività semi-clandestina, che lei conduce in suite di hotel extra lusso. Nel suo portafoglio clienti ha prevalentemente star di Hollywood, produttori cinematografici, uomini d’affari. In una seconda fase della sua attività si trasferisce a New York, addirittura nel mitico Plaza hotel, e qui al solito livello di clientela si aggiunge anche un po’ di mafia russa, a sua insaputa, direbbero alcuni dei nostri politici. Non tutto va liscio. Al di là delle regole del giuoco, la cosa da sapere è che in America questa attività è lecita quando campa di mance e simili (per esempio, il bar), non lo è più se il banco trattiene una percentuale su ogni piatto della partita. Molly segue le regole fino a che le cifre in giuoco glielo consentono, ma siccome il banco ha anche la responsabilità di garantire le perdite se qualcuno non riesce e pagare, quando queste ultime ingigantiscono, per lei iniziano i guai.

Tra vari flash-back e salti temporali e spaziali, arriviamo all’arresto della protagonista ad opera dell’ FBI e al processo, ecco allora anche la convincente interpretazione dell’avvocato Charlie Jaffey (attore Idris Elba), e poi quella del papà di Molly (Kevin Costner, qui in veste di intellettuale), che spiega alcune cose del passato della figlia.

L’escalation professionale e criminale della protagonista viene presentato, nel film e anche in realtà, in sede di processo, come qualcosa che conserva una sua personale concezione di integrità. Infatti l’idea di Molly e dell’avvocato è di dichiarare il reato ma sottintendendo sempre una forma di moralità, come se Molly facesse di tutto per difendere una patente di coerenza pur dentro il destino che si è scelta. Vedi la sua ostinazione nel non fare i nomi dei partecipanti alle sue partite di poker (all’epoca, una decina di anni fa, quando il vero fatto di cronaca venne fuori, si parlò del coinvolgimento, tra gli altri vip, di star del calibro di Affleck e Di Caprio).

In conclusione, un cinema fatto prevalentemente di scrittura, quindi un film raro in questa epoca di dominio di effetti speciali ed altre scorciatoie/trappole per lo spettatore.

Come a teatro, un grande testo affidato a grandi interpreti e una regia che segue da par suo il copione, ovvero la scenaggiatura, in questo caso ovviamente, visto che regista e sceneggiatore sono la stessa persona….

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