Liberamente tratto dal capolavoro di Jack London, ispirato quasi interamente alla vita dello scrittore americano, il film “Martin Eden” di Pietro Marcello può risultare ai meno attenti qualcosa di ostico e incomprensibile per le digressioni spazio-temporali che non tengono conto della cronologia e della storia. Mentre la vicenda del marinaio con scarse nozioni scolastiche che per amore si getta nella lettura di libri impegnativi e complessi per raggiungere un livello culturale e sociale che lo ponga al livello della buona borghesia cui appartiene la donna dei suoi sogni è lineare e comprensibile, sullo sfondo si agitano le lotte socialiste e le rivendicazioni sindacali dei lavoratori, in una crasi atemporale che riguarda tutto il secolo. Fino al gruppo di africani sulla spiaggia accanto ai fascisti in camicia nera che bastonano senza pietà un povero storpio, e ci rimandano a una inquietante attualità
Spezzoni di documentari di una Italia povera, da inizio secolo fino ai giorni nostri, scorrono sapientemente mimetizzati con il girato recente che viene trattato in modo da non distinguersi in montaggio. La figura del protagonista da sola ci dà testimonianza del cambio di passo. Napoli è lo scenario della storia. La figure principali appaiono in abiti che riflettono la loro posizione mentale o sociale: Elena e sua madre, sembrano uscite da una foto d’anteguerra, come a sottolinearne il tradizionalismo. Gli altri sono i poveri di sempre, malvestiti, malnutriti, ignoranti e retrogradi anche nel concepire la propria importanza di lavoratori,un’ umanità che il tempo pare non perdonare e per la quale non c’è mai riscatto.
Su questo scenario il protagonista srotola la propria vita di lavori, viaggi, tentativi di migliorarsi, scritti rifiutati, incomprensioni, sconfitte cocenti. Ma la sua determinazione alla fine avrà il giusto riconoscimento, anche se ormai le delusioni oscurano anche il successo e la notorietà è per lui un pretesto per manifestare il rigetto e il disprezzo per tutto ciò che lo circonda e che comunque non soddisfa i suoi ideali più profondi
Nel complesso un film forse imperfetto nello sbilanciamento fra prima e seconda parte, dove le conclusioni sembrano un po’ affrettate e a prima vista incomprensibili.
Ma sicuramente una maniera di trattare temi importanti, al di là della trasposizione del libro, che rivelano una tecnica interessante, un montaggio onirico e spiazzante, mutevole, inatteso e pieno di fascino come il mare che ne è sovente protagonista.
Ottime le caratterizzazioni degli attori non protagonisti, magistrale il cameo affidato a Carlo Cecchi che attraversa lo schermo come una meteora luminosissima e incisiva. Curiosa e inattesa la comparsa di Giordano Bruno Guerri a una tavolata sociale

Un capitolo a parte merita Luca Marinelli. La Coppa Volpi conquistata alla recentissima Mostra Cinematografica di Venezia è solo un pallido riconoscimento se si guarda in profondità la sua interpretazione di questo ribelle senza tempo.
Ci si scopre a commuoversi davvero a certi suoi primi piani, quando Martin ascolta Elena. Gli occhi di Marinelli non avrebbero bisogno di parole. Come non ne avrebbero le espressioni di disinganno, delusione, profondo dolore per quanto è stato o non potrà più essere. Nel rivedere se stesso “prima” e rimpiangere ciò che non può più rivivere, nel pianto senza speranza che scava nello spettatore più cinico e disincantato portando alla luce inattesi pensieri ed empatia per quello che non è solo un personaggio, ma un essere umano cui la vita potrebbe aver riservato quanto desiderato, se non che…
Marinelli rivela una capacità di mimesi nel personaggio che abbiamo conosciuto sulla carta, perché chiunque abbia letto Martin Eden di Jack London, se lo figurava così, ma gli dà di più. Piccoli gesti, frasi sussurrate per non farsi udire, impulsi irrefrenabili, cazzotti, abbracci, lacrime, un pianto dirotto, sguardi estatici o estremamente espressivi rivelano un attore che ha modellato non solo il proprio intelletto, ma anche il corpo al servizio di una recitazione impegnativa, senza sbavature, senza eccessi. In una parola, perfetta.
Lo avevamo già visto dare vita a Fabrizio De André, o in “Una questione privata”, in “Non essere cattivo”, “Tutti i santi giorni”, “Il padre d’Italia”, “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Ma questo suo Martin Eden ci rimarrà dentro per uno sguardo la cui intensità va oltre lo schermo. Oltre quell’orizzonte di sogni mai realizzati e ideali insoddisfatti che ci accomuna al suo personaggio, e che chiude tragicamente il film.

by manu52

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